Noi, tutti o quasi, put an onion abbiamo ricevuto un’educazione cattolica. Ieri sera, tra un bicchier di vino ed un caffè, abbiamo riesumato il ricordo di uno dei momenti più strani della santa messa: quando il prete esclama “Ecco l’agnello di Dio!” e tutti gli astanti cominciano a guardarsi intorno, sotto le panche (da qui il detto sotto la panca la capra prega), a perquisire i confessionali, altri si aspettano che si aprano i portoni dietro di loro o che la dolce bestiola appaia da dietro le quinte dell’altare. Al fondo, i più burloni attaccano con il classico “Ce l’aveva con te – No, con te” e giù ghignate. Perché un agnello dovrebbe apparire in una chiesa? E soprattutto, perché questo benedetto animale dovrebbe avere pietà di noi? Che ad ogni maledetta Pasqua ne facciamo una strage! Puniscici Agnello di Dio, altroché! Mozzica il sacerdote e uccidi le anziane che cantano gli inni a squarciagola! Pasteggia con le banconote del cesto delle offerte! Terrorizza i chierichetti e incorna per bene la perpetua ora e sempre, nei secoli dei secoli! Ameeeeeeeennnnnn!
Cosa voleva comunicare qui l’artista: che il fatto di essere cool, à la page, fico o semplicemente agnello di dio nasconde il suo bel lato oscuro della medaglia. Che non è tutto d’oro il calice da cui il prete si fa il cicchetto di vin santo. Immaginate la scena: Eddie di Sing è seduto in prima fila, il prete lo indica e pronuncia la ormai celebre frase. Eddie si illumina di orgoglio, risplende di tracotanza, tronfieggia sul resto dei fedeli. Ma un secondo dopo esclama
Oh sheep!
Gli è venuto in mente che fine fanno gli agnelli, di dio o no, a inizio aprile. Non è questo gran privilegio sedere alla destra del padre se poi finisci arrosto.